COSI' MI NUTRE LO SPIRITO

SCRIVENDO FAVOLE, POESIE E ANIMANDO BURATTINI

C'era una volta...



IL PRINCIPE CIRO, IL MAGO ZOROASTRO E IL BURATTINO

 

Tanti, tanti secoli fa nacque in  Persia un principe di nome Ciro. Era bello come pochi ed i suoi genitori ne erano orgogliosi. Cresceva sano e sereno. Quando arrivò l'età della parola incominciò anche lui, come tutti i bambini, a dire "mamma" e, come tutti i bambini, pronunciava quel bel nome balbettando. Con il passare delle settimane però la pronuncia anziché migliorare peggiorava ed il tempo trascorreva senza che il piccolo riuscisse a dire alcuna parola correttamente. 

Sua madre si decise allora di farlo visitare da un grande mago che, dopo averlo scrutato ben bene ed aver pronunciato una serie di "uhmm uhmm" di perplessità, disse: "Guarirà dopo che per un anno avrà dormito su di un materasso riempito non di lana ma di pietre." La madre del piccolo restò alquanto sconcertata per quella prescrizione; ma, considerato che quel mago era famoso in tutta la Persia, si convinse ad adottare il rimedio suggerito ed ordinò ai servitori di raccogliere tanti ciotoli di fiume quanti ne servissero per riempire un materasso.

 

Il principino da quella stessa notte iniziò a coricarsi su quello scomodo giaciglio e potete ben immaginare quanta difficoltà ad addormentarsi incontrasse a causa dei dolori per le ammaccature che gli procuravano le pietre. Per un lungo anno sopportò e solo poche volte si lamentò giacché non vedeva l'ora di arrivare alla fine del dodicesimo mese per parlare bene.  Ma quando giunse l'atteso giorno la delusione fu grande nel constatare che balbettava come al solito. La madre cercò di consolarlo come poté ma non riuscendo ad attenuare la sua tristezza in alcun modo, decise di condurlo da un altro famoso mago. Anche questo lo scrutò ben bene e pronunciò una serie di "uhmm uhmm" di perplessità.  Alla fine disse: "Guarirà dopo che per un anno avrà dormito adagiato nell'acqua". La madre restò ancor più sconcertata dell'altra volta temendo soprattutto che il suo bambino potesse ammalarsi a causa dell'umidità. Ciò nonostante dette disposizioni perché si preparasse una vasca nella sua camera da letto e nel corso di tutte le notti di tanto in tanto sostituiva l'acqua fredda con dell'acqua tiepida scongiurando così il pericolo che il suo bambino si raffreddasse. Anche questa volta il piccolo Ciro sopportò pazientemente sorretto dalla speranza di potere alla fine parlare anche lui come tutti i suoi compagni. Ma, ahimè, la sua delusione fu grande quando allo spirare del dodicesimo mese, scoprì che nulla era cambiato nella sua pronuncia.

Nei mesi successivi la tristezza a palazzo reale fu grande, furono abolite feste e ricevimenti, tutti i compagni del principino un po’ alla volta presero a disertare gli incontri di gioco e suo padre emanò un editto con il quale prometteva un castello a chi avesse saputo aiutare il principe Ciro a guarire.

 Un giorno si presentò a palazzo una vecchina che chiese di poter parlare alla regina per rivelarle il nome di chi avrebbe potuto aiutare suo figlio.  La madre la ricevette immediatamente e non si lasciò influenzare dall'apparenza; la vecchina infatti era alquanto male in arnese ma aveva un viso buono e due occhi profondi e luminosi.

Raccontò che tanti, tanti anni prima di allora aveva saputo che ai confini della Persia, in una grotta in cima ad un'altissima montagna, dalla notte dei tempi viveva un grande mago di nome Zoroastro i cui poteri erano soprannaturali. Sicuramente avrebbe potuto aiutare il piccolo Ciro a condizione che il viaggio fosse intrapreso a piedi dal piccolo accompagnato solo da sua madre.

 

La regina credette alla vecchina, la ricompensò e dette subito disposizioni perché si preparasse quanto necessario per il lungo viaggio.

In sette mesi coprirono la distanza che separava il palazzo reale da quella montagna. Incontrarono difficoltà di ogni genere, superarono larghi fiumi, impetuosi torrenti ed irte montagne, dormirono sotto le stelle e sotto la pioggia, si nutrirono di bacche e radici dopo che le provviste della partenza furono finite, scamparono ai molti pericoli di ladroni e animali feroci. Arrivarono esausti ai piedi della montagna e per qualche giorno, prima di scalare quell'alta cima, si riposarono per riprendere le forze. L'ascensione fu terribilmente faticosa e le mani sanguinavano per le pietre aguzze e quando alla fine la vetta fu raggiunta i due poverini non avevano più la forza nemmeno per sorridere nel vedere davanti ai loro occhi aprirsi quella grotta di cui aveva parlato la vecchina. Sfiniti si addormentarono. Dopo chi sa quante ore si svegliarono scoprendo di giacere all'interno della caverna, vicini ad un fuoco che ardeva in un incavo di una parete rocciosa.

 

Ricurvo sulla fiamma un vecchio contemplava in silenzio le volute del fuoco: aveva una barba bianca tanto lunga da toccare terra, il viso era scarno, le mani affusolate, indossava una larga palandrana di colore viola.

Fu lui l'unico a parlare e disse: "Riposatevi ancora, poi aiuterò il piccolo".

Ripresero a dormire e fu quella la prima volta, dopo tanti mesi, che sognarono gnomi sorridenti seduti a cavalcioni sui rami degli alberi, gaie ondine giocare nei ruscelli, diafani elfi volare fra nubi dorate e stupende salamandre distese su prati fioriti.

Al risveglio mangiarono miele e frutta che il mago aveva preparato per loro. Bevvero un dolce liquido chiaro che non era latte. Poi il vecchio canuto fece cenno di seguirlo ed uscì dalla grotta. Il giorno era magnifico: il sole splendeva, l'aria era frizzante, il paesaggio era superbo  dall'alto di quella cima. In basso un'immensa  verde piana mossa solo da qualche collina, all'orizzonte le montagne, quelle stesse che Ciro e sua madre avevano faticosamente superato durante il viaggio.

 

Il vecchio si incamminò su di un sentiero a mezza costa e dopo poco si chinò verso terra per raccogliere un pezzo di legno che spuntava fra le rocce. "Che strano", pensò la madre, "come è possibile che ci sia del legno qui: non ci sono né alberi né arbusti!".

Con quel pezzo di legno in mano il mago rientrò nella grotta e con lui Ciro e sua madre.

Si sedette per terra, a fianco del fuoco, ed iniziò ad inciderlo con una pietra aguzza. Con movimenti lenti e cadenzati ricavava una forma che con il passare del tempo assomigliava sempre di più al viso del piccolo Ciro. Per molte ore lavorò in silenzio ed alla fine si rivolse al bambino, lo guardò negli occhi, gli  pose una mano sul capo, gli porse quella scultura che riproduceva fedelmente le linee del suo viso e gli disse:  "Parlagli e lui ti parlerà". Poi si distese per terra, si avvolse nel pastrano e si addormentò giacché era ormai notte avanzata. Così fecero anche il bambino e sua madre.

Nel corso della notte Ciro si svegliò d'un tratto perché gli sembrò di aver udito una voce chiamarlo. Non si era sbagliato. Una flebile voce proveniva dall'incavo in cui ardeva il fuoco. "Ciro, Ciro". Il piccolo si alzò e si avvicinò al fuoco credendo che fossero le fiamme a parlare; ma presto si avvide che la voce proveniva dalla scultura fatta dal mago che Ciro aveva  adagiata lì, prima di addormentarsi, sulla pietra collocata davanti alle fiamme.

Prese la scultura in mano e questa gli disse: "Non temere Ciro, io ti sono amico. Parlami di te, raccontami la tua vita". Ciro, seppure incantato da quella magia,  non esitò ed incominciò a raccontare a quel pezzo di legno intagliato gli anni di solitudine e dolore provati tutte le volte che aveva cercato di parlare senza riuscire a pronunciare che balbettii. Gli confidò la sofferenza per la derisione con la quale era stato quasi sempre accolto dai suoi compagni, per la commiserazione che aveva visto in tutti gli adulti che si erano avvicinati a lui negli anni, per la delusione per il fallimento dei rimedi suggeriti dai maghi, per la disperazione nel non credere più in un futuro in cui potesse parlare come tutti gli altri bambini.

Ciro, nel raccontare di se stesso, era così preso da non accorgersi che la balbuzie era scomparsa. Sua madre ed il vecchio mago  si erano intanto svegliati e se ne stavano in silenzio ad ascoltare: il viso del vecchio risplendeva di una magica luce, quello della madre era rigato da lacrime di commozione: finalmente suo figlio parlava come aveva sempre sognato. Rimasero così, a lungo in silenzio ed alla fine, quando anche il piccolo si rese conto della sua guarigione, con un lungo abbraccio si strinse a sua madre. Poi così parlò Zoroastro: "Ciro, oggi hai imparato a parlare a te stesso e ad ascoltarti. Lo farai ogni giorno per tutti gli anni futuri. Diventerai grande". Dopo, lentamente, si avviò verso la fine della grotta e scomparve alla vista dei due che non ebbero nemmeno il tempo per ringraziarlo.

 

Con la gioia nel cuore uscirono fuori, discesero quasi volando dall'irta montagna, corsero nella piana, scavalcarono d'un balzo le montagne, trovarono a palazzo esultanti il re, i cortigiani, gli armigeri, il popolo: erano attesi perché in sogno tutti gli abitanti del reame, durante la notte precedente, avevano visto ciò che era accaduto al piccolo Ciro sulla montagna fatata.

Quello stesso giorno la madre tagliò con le sue mani una meravigliosa stoffa di color viola, cucì uno splendente abito e lo adattò alla testa di legno. Quel burattino aiutò Ciro a scoprire se stesso e lo confortò negli anni tutte le volte che ne ebbe bisogno. Da allora in Persia non c'è bambino che non abbia il suo burattino e non c'è madre che non gli cucia con amore un vestitino. Ancora oggi in tutto il mondo i burattini aiutano i bambini ma anche i grandi a non aver paura di se stessi e degli altri.

F I N E


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